ELEMENTI DI PROSOPATIA






FIDATI DELLA STORIA

Eccomi qui di nuovo a insegnare cose che non so. Che vizio assurdo!
Ho scritto un solo romanzo pubblicato il mese scorso, e già non mi so contenere: voglio spiegare a tutti come si fa.
Meno male che di recente ho trovato traccia di questo difetto in un autore molto più noto e capace di me, Sandro Veronesi. Il protagonista dodicenne del suo Settembre Nero cerca di conquistare una coetanea grazie al proprio bilinguismo. Lei è appassionata di musica inglese, e lo avvicina per farsi tradurre i testi di canzoni di cui non capisce un accidente. Anche il ragazzo, in realtà, si trova spesso in difficoltà a cogliere il senso di quelle parole, ma per compiacere l’amica si lancia in ipotesi ardite. Si scopre, così, più competente di quanto pensava di essere, constatando con sorpresa che è possibile ‘imparare insegnando’.
Eccoci, siamo entrati nel tema. Perché questo articolo parla proprio di questo, delle cose che sappiamo ma non sappiamo di sapere. Lo scrivo perché vorrei farne la bandiera del nostro laboratorio di scrittura Puro Delirio Storytelling Club. Vorrei che fosse il suo motto: fidati della storia. O come, vi confesso, gira nella mia testa e a mio parere suona anche meglio: TRUST THE STORY!
Ma che significa?
Chi ha seguito corsi di scrittura creativa potrebbe averlo sentito altrove, non lo escludo. Io l’ho imparato da me nella pratica, e ora che mi accingo a spiegarlo, mi accorgo che non è facile. Anzi, come molte fra le cose più ovvie, è impossibile da spiegare. È una questione, appunto, di fiducia, o addirittura di fede. E la fede presuppone di abbandonarsi all’irrazionale. Una volta compiuto il passo, poi, quella stessa fede ci trascina sempre più addentro all’irrazionale, ci risucchia. Ed è da quel luogo, in quell’irrazionale, che la nostra storia ha origine.
Tutto chiaro?
Mah…

2

Ricominciamo: avete presente quando state per cominciare una storia? O meglio, quando vorreste scrivere una storia. Provate a richiamare alla mente l’immagine di voi stessi seduti alla vostra scrivania… Anzi no, diamoci del tu: prova a richiamare alla mente l’immagine di te stesso seduto alla tua scrivania, o sul divano, dove ti trovi comodo ma che sia un luogo familiare e reale. Hai davanti il tuo computer, l’ipotetico foglio bianco, e nella tua mente echeggia una sola domanda: e adesso che minchia scrivo?
Tutto questo nell’ipotesi che tu non sia, diciamo, Sandro Veronesi, altrimenti non perderesti tempo a leggere il mio blog. E anche nell’ipotesi che tu non abbia già in mente una trama compiuta con tanto di personaggi e voce narrante. Talvolta accade, ma non è questo il caso, e anche se lo fosse… ci torniamo più avanti.
Dunque, perso in questo mare di possibilità infinite, ti stai chiedendo come attaccare il tuo racconto, che ancora non esiste. E ti sembra quasi impossibile che in un dato momento futuro esisterà. Ora io ti dico una cosa che potrà sembrare strana, ma è vera: devi solo scrivere una riga. Tutto il racconto è già in quella riga. Questo significa, trust the story

E adesso: panico! Ma se quella riga non fosse quella giusta? Se non portasse da nessuna parte? Se fosse solo una cazzata senza senso che mi è venuta in mente così, per nessun motivo importante? Se dopo aver sudato per pagine e pagine confidando nel potere di quella prima riga, mi ritrovassi in un vicolo cieco?
Questi dubbi possono essere, lo capisco bene, paralizzanti. Dare tutta questa importanza a una riga ti fa sentire sotto pressione… Non preoccuparti, frequentando il Puro Delirio Storytelling Club capirai come cavare fuori da te stesso quella prima riga senza troppe menate. Per adesso occupiamoci di altro: facciamo finta che tu quella prima riga l’abbia già scritta, ma non abbia idea di cosa significhi o come proseguire da lì.
Eccoci, questo è il momento cruciale in cui sfoderare la tua arma più affilata, ossia spazzare via tutte le grandi idee filosofiche su cui passi le giornate a trastullarti, e ripeterti come un mantra un’unica frase: fidati della storia.

3

Perché la storia esiste già, capisci? Non sei tu a inventarla.
Non è fantastico? Che meraviglioso sollievo: la storia esiste già, tu non lo sapevi ma esiste. E ti è stata consegnata da un visitatore celeste, un putto alato dai riccioli biondi, una musa, nella forma di quella riga. Pensa che dono prezioso hai ricevuto! Che poi nessuno ti vieta di modificare quella frase, a un certo punto, o addirittura cancellarla, se la storia dovesse richiederlo!
Perché qui è la STORIA che fa da padrona, e la storia è altro da te, questo devi ficcarti in quel cervellino di patata.
E al tempo stesso, la storia sei tu. Tu ne sei il padrone, il DIO, e puoi farne quello che vuoi e non devi renderne conto a nessuno.
Si, lo so, ho appenda affermato un principio e il suo opposto nello spazio di quattro righe. Ma questo significa abbandonarsi alla fede e all’irrazionale: che le contraddizioni sono possibili.

Per andare più nel concreto, ti invito a leggere il mio racconto Ganimede. L’ho ripubblicato qui nel sito nella raccolta Scatola Nera, ma è uscito in primis in versione cartacea nel N.8 della pubblicazione annuale del Cantiere di Storie, il laboratorio di Francesco Botti che ho frequentato per un paio d’anni. È in quel contesto che il racconto è nato e voglio spiegarti come. Ti consiglio però, prima di proseguire questo articolo, di leggerti tutto il racconto (sperando che un po’ ti piaccia, chissà!)
Ok, ora che l’hai letto, posso svelarti un segreto: quando ho cominciato il racconto avevo solo un’immagine in mente, questo immenso hangar industriale pieno di un mare di cadaveri. Ma non avevo idea di come ci fossero finiti!
Leggendo a turno i nostri incipit, tutti si chiedevano dove sarebbe andata a parare la storia, che spiegazione avessi architettato per motivare questo scenario estremo, agghiacciante. Risposta: nessuna! Io stesso me lo chiedevo e ho continuato a farlo per giorni, senza davvero pensarci fino a quando ho riaperto il file per continuarlo, lasciando che una frase dopo l’altra la storia si sviluppasse da sé fino alla sua conclusione. Lasciandomi sorprendere come se stessi guardando un film.

4

Una frase dopo l’altra, questo è il concetto chiave. Cioè, quello che vale per la prima riga, è vero anche per il resto del processo. Quella storia che hai pescato nel mondo delle idee, ti viene rivelata un pezzetto per volta, e tutto ciò che devi fare è resistere alla tentazione di sentirti spacciato perché non sai come andrà a finire. “Scrivere un romanzo”, dice Neil Gaiman, “è come navigare nella nebbia, dove vedi solo ciò che hai pochi metri davanti a te”.
Questo mi riporta alla questione che ho lasciato in sospeso più sopra. Esiste infatti anche l’eventualità che una storia ci si presenti spontaneamente, quasi compiuta. È questo il caso ad esempio di Scatola Nera, il racconto che da il titolo alla raccolta. Mentre manovravo l’auto per uscire dal garage, sono stato come preso alle spalle da una serie di scene ben definite: l’incipit al centro congressi, la scatola nera (che non compare fino alla metà del racconto), il personaggio di Rachel… Si può pensare che date queste premesse, il processo di costruzione della storia sia stato diverso, ma non è così!
Occorre diffidare, io credo, del senso di sicurezza che possono infonderci argini narrativi troppo definiti. Se non ci abbandoniamo, anche qui, al senso di meraviglia dello scoprire cosa a vuole dire quella storia innanzi tutto a noi che ne siamo gli artefici, frase dopo frase, rischiamo di trovarci davvero a corto di materiale, o di scoprire che la trama che ci entusiasmava non era poi così brillante.

Ora io non voglio perdermi in divagazioni, come sono solito fare. Ma solo accennare a una questione più ampia, che mi piace ricordare a me stesso. Perché la scrittura ha il potere, fra l’altro di insegnarci delle cose. E in questo principio, trust the story, io ho trovato un insegnamento che ha grande valore nella mia vita. Perché è facile - specie oggi che più che mai siamo esposti alle vite degli altri - sprofondare in vortici comparativi: ma guarda che bella casa ha quel tipo, moglie/marito/figli perfetti, carriera strepitosa… È bene ricordare spesso a noi stessi che la nostra vita non è altro che la narrazione che ne facciamo all’interno della nostra mente. E che la nostra storia personale ha qualcosa di unico e straordinario: è appunto la nostra storia, e sta a noi e nessun altro renderla giorno dopo giorno, riga dopo riga, un racconto avvincente, emozionante, imprevedibile.

5

E qui ti saluto con una chiusa per me insolita. Quando scrivo o parlo in pubblico, spesso mi trovo a dire: attenti però, io parlo per me, magari per voi è diverso. Ognuno di noi, in fondo, funziona in un modo un po’ singolare, che solo lui può conoscere. In questo caso no. Sia per quel che riguarda il processo di costruzione narrativa, che per l’insegnamento esistenziale che possiamo trarne, non parlo solo per me, sono assolutamente certo che per te sia lo stesso. Devi solo crederci.