ELEMENTI DI PROSOPATIA







TROLLOP

Bananafoschina, quasimessa, caldana-cardata.
Voglio un personaggio così, potente nel male, ma non per questo malvagio. Ha stipulato, suo malgrado, un patto col Diavolo. Ma aveva solo undici anni! Per Cristo Onnipotente, non si rendeva conto di nulla!
E ora è potente, sì, ma solo nel male: può provocare morti, anche causare catastrofi globali, se ci si mette: pandemie, guerre, crisi ambientali, disastri tecnolocici come, chessò, far collassare una rete elettrica.
Eppure egli non vuole nulla di ciò, il suo animo è buono, vorrebbe solo offrire il proprio modesto contributo alle gloriose e progressive sorti del genere umano. Eppure di ciò che fa, tutto si ritorce contro l’originale intento benefico, volgendosi in catastrofe.
Come ormai saprete - anzi no, non lo sapete, non eravate pronti - siamo a Firenze dove Vale è stata operata giovedì scorso per un tumore lobulare alla mammella sinistra. Occorrenza da me prevista mediaticamente - Leonardo lo può testimoniare - ben due mesi prima che si avesse il minimo sospetto che qualcosa del genere ci potesse accadere, toccare, sfiorare. E invece, eccoci inghiottiti nel gorgo.

I teli che ombreggiano la terrazza Sud svolazzano nella brezza del primo pomeriggio. “Immagino che dovremmo stare uniti”, dice una vocina dal cartone che guaradno i ragazzi in soggiorno, due stanze più in là. Vale si è assopita sul divanetto a due posti della cucina open space che da accesso alle due enormi terrazze, sul lato Sud (da cui si vede l’alba), e sul lato Ovest (tramonto). I tubicini del drenaggio le escono dalla maglietta e finiscono in una borsa di tela appoggiata a terra. Abbiamo affittato questo meraviglioso appartamento a dieci minuti dall’ospedale, dove resteremo fino a giovedì. Poi, un ritorno a casa che ci agghiaccia. Vorrei stare via da casa per sempre. Proporrei uno scambio con Dio: inghiottire tutta la nostra casa con ciò che contiene in una grande voragine nella roccia, e riparare in cambio il corpo di vale. Tranquillo Dio, da qui in poi ce la caveremo: guideremo da Firenze fino al Sud della Spagna, più o meno in un unico viaggio, coi vestiti che abbiamo addosso. Poi ci fermeremo qualche giorno in Andalusia, a Granada, dove vorrei far visitare ai bambini l’Alhambra. Quindi faremo volta al Marocco, dove con i pochi soldi che ci rimnangono sul conto inizieremo una nuova vita...

Ho passato la mattina fuori in cerca d’aiuto. È dal giorno della prima funesta diagnosi, giovedì 22 maggio, che sento il bisogno di parlare con un prete. Eppure non è impresa facile, per chi non ha mai frequentato la chiesa. Continuo a bussare a porte sbagliate: conventi di frati cappuccini più blindati di un bunker militare, basiliche e santuari turistici dai confessionali inrovabili, a orari ridottissimi. Eppure un enigmatico contegno (non so se frutto di logiche egoiche o di prudenza) mi trattiene dal rivolgemi alla prima anonima parrocchia. La confessione, poi, esiste ancora? Non ne sono sicuro. La può richiedere anche chi non sia battezzato? Misteri che vorrei sciogliere appunto parlando a un prete.

L’altro aiuto che cercavo erano due gocce di Xanax. Ma anche per quello, non è facile. Ho chianato il mio medico stamattina, che sta a Bibbiena, ma dice che la ricetta telematica per gli psicofarmaci non la può fare. Dice che qui a FI invece, un qualunque medico di base me la potrebbe fare. Ma sono stato alla Casa della Salute, qui all’angolo, e non me l’hanno fatta. Anche in farmacia (dove a detta della Dott.ssa Gandolfo potevo trovare un farmacista compiacente che mi concedesse un 25, se non proprio un 50...) nessuno ha voluto mollare i freni.
Quindi il mio Xanax e il mio confessore adesso è questa pagina nera. Perché è dal giorno prima di partire per FI, cioè martedì scorso, che a tratti sento come un vuoto nel petto. Al centro del petto, al posto del cuore, si crea come una voragine. Un nulla pensante che mi tira giù, come un vuoto d’aria in aereo. Ma questo si porta dietro tutto il respiro, che poi rimane spezzato, ansimante per un tempo che pare infinito, in cui non posso far altro che attendere e sperare che la crisi passi.